i Khmer rossi al potere
6.1 L’arrivo a Phnom Penh Alle sei di sera del 16 aprile i Khmer rossi si erano appostati Takmau, ai confini sud-ovest della capitale.
Lasciata dietro la scia di morti, tra i seicento e gli ottocentomila durante gli scontri tra ribelli e governo, [1] Pol Pot e compagni il giorno seguente entrarono a Phnom Penh, tra un mare di cittadini felici ed eccitati dalla liberazione dal regime di Lon Nol.
All’arrivo dei ribelli, la gente scese in piazza festante, Phnom Penh era invasa di persone festanti, mentre le truppe governative si arrendevano.
Scrisse l’inviato de Le Figaro:
On assistait alors à d’incroyables scènes de fraternisation entre les soldats des camps, communistes et anticommunistes. Dans une liesse générale, à laquelle se mêlaient les civils, on acclamait la paix revenue[2]
Su Radio Phnom Penh, Mey Sichân, un anziano generale repubblicano rassicurava la popolazione dicendo che si sarebbe cercata una soluzione rapida e pacifica per il trasferimento dei poteri, mentre all’improvviso una voce lo interruppe tuonando:
“stiamo entrando nella capitale con la forza delle armi”[3]
Fino a quel momento nessuno sembrava spaventato; a capo della resistenza c’era Sihanouk, il programma del FUNK dava ampie garanzie di libertà religiose, il personale si dimostrava indulgente con gli avversari e considerava inviolabili la persona, la proprietà e la ricchezza, tanto che uomini di Lon Nol erano convinti che i Khmer rossi, essendo comunisti e patrioti, avrebbero rispettato la volontà del popolo, e qualora le cose fossero peggiorate, potevano espatriare come il FUNK prometteva.
Mentre gli uomini dell’esercito di Lon Nol si arrendevano, i Khmer rossi, uomini e donne vestiti di nero, li spogliarono, raccolsero le loro armi e perquisirono i veicoli.[4]
Son Nikan, fratello di Son Sen ricordò:
Entrammo da tutte le direzioni, [...] pensavamo che la città cadesse tra le dieci e trenta e mezzogiorno, ma in realtà avvenne un’ora prima.[…] Tutti i nostri obiettivi erano raggiunti.[5]
6.1.1.Ritratto dei Khmer rossi soldato L’ordine era semplice e chiaro: attaccare e liberare Phnom Penh ed evacuare provvisoriamente la popolazione dalla città.
Dai ricordi delle persone, quello del giornalista Dith Pran:
I nuovi arrivati erano coperti dal sudiciume della giungla, indossavano abiti neri fuori misura con bandane colorati o berretti alla Mao[..] non sorridevano mai, non sembravano neanche cambogiani[6]
Entrarono in città a passo di marcia, visi gelidi, indifferenza sugli occhi, un solo obiettivo, tutti gli abitanti dovevano lasciare le case e andare in campagna per unirsi alla gloriosa rivoluzione, uccidere chi non obbediva.[7]
Erano ragazzini, quasi tutti non arrivavano ad avere quattordici anni, tra loro vi erano bambini, tolti dai genitori e cresciuti senza sentimenti, pronti a uccidere anche i loro padri, analfabeti, vissuti senza acqua corrente o elettricità, ignoranti di qualsiasi tecnologia, non sapevano neppure cosa fosse un’automobile. Erano le persone ideali, quelle che dovevano condurre la rivoluzione nella visione polpottiana, erano i puri, quelli da prendere come modello, sui quali si doveva fondare la nuova classe sociale.
Per com’erano stati indottrinati nella giungla, ai loro occhi i cittadini della capitale erano tutti pervertiti o prostitute, bastava questi portassero i capelli lunghi o un filo di trucco.
Erano disinteressati al denaro, non fecero razzia di oggetti personali, dai veicoli sfasciati contro i muri delle case che cercarono inutilmente di guidare, non sapendo cosa fosse un cambio o un volante, tagliavano la gomma dello pneumatico per fare le suole delle scarpe.[8]
Un quadro dei Khmer rossi disse a Ponchaud che l’obiettivo era di rieducare la popolazione, e attraverso la bonifica della terra, seminando e raccogliendone i frutti, gli uomini avrebbero imparato il valore reale delle cose.[9]
6.2 L’evacuazione di Phnom Penh Il piano d’azione dei Khmer rossi, dopo l’arrivo nella capitale, può essere diviso in due momenti: inizialmente fu costituito il Comitato per l’uccisione dei nemici, in cui si decise pressoché all’istante la condanna a morte dell’ultimo premier Long Boret e di altri repubblicani, e la loro eliminazione nell’improvvisato carcere non lontano dal ministero dell’informazione.
Nel primo pomeriggio si dette attuazione alla seconda fase del programma.
I soldati andarono casa per casa, invitando gli abitanti della città a lasciare le loro abitazioni.
Assicurarono che l'evacuazione sarebbe stata provvisoria, che non era necessario prendere provviste in quanto Ângkar avrebbe pensato a loro, sarebbero stati fuori dalla città al massimo per tre giorni, poi sarebbero potuti rientrare.[10]
Agli sfollati venne vietato di chiudere le case perché i Khmer rossi promisero che si sarebbero occupati di tutto in loro assenza.[11]L’evacuazione venne giustificata con il pretesto che gli americani erano pronti a bombardare la città, come andarono a ripetere gli auto parlanti.
L’abbandono della capitale avvenne nella totale confusione: tre milioni di abitanti si muovevano “come biglie di un flipper, non sapevano dove andare.”[12]
I guerriglieri ordinarono che persino i feriti lasciassero gli ospedali. Nei nosocomi di Phnom Penh trovavano assistenza quasi diecimila persone, la maggior parte della quale non era in grado di stare in piedi, cosicché i parenti li trasportarono via nelle lettighe, con le sacche di sangue e flebo attaccate.[13]
Si venne a creare una situazione paradossale, nella città esisteva “due Phnom Penh”: quella formata da due milioni che vivevano nelle baraccopoli, arrivati durante i bombardamenti delle campagne che avrebbero desiderato rientrare nelle terre natie ma con i propri ritmi, e quella formata dai seicentomila abitanti originari, che con amarezza e desolazione stavano lasciando la loro casa, i loro averi per abbandonarsi verso l’ignoto.
La confusione degenerò nel caos a causa delle diverse disposizioni che i responsabili delle diverse zone di occupazione della città ricevettero; a nord lo sgombro fu pianificato diverse settimane prima e avvenne in maniera ordinata, tanto che i cittadini riuscirono a portare con loro cibo e qualche effetto personale, mentre a sud-ovest venne impartito l’ordine solo qualche ora prima con la direttiva che questo sarebbe durato qualche ora al massimo, e la gente per nulla intimorita chiuse la porta di casa e stette in silenzio, a est i dirigenti neppure sapevano dell’ordine di sgombero, tanto che questo cominciò solo quando era in arrivo la massa di cittadini provenienti dalle altre zone e dirette dalla loro direzione verso a Svay Rieng. Mentre un’altra parte di persone venne inviata a Takeo[14].
Durante il cammino i soldati cominciarono a chiedere agli evacuati il loro mestiere, ai funzionari del governo di Lon Nol di farsi riconoscere per essere caricati in camion, divisi per sesso, e condotti alla morte. Migliaia di esecuzioni sommarie furono eseguite in poche ore, ma con le altre persone erano buoni, rassicuranti. Da una testimonianza di un evacuato:
"dopo una settimana di cammino Tevi, nipote di Thida Mam era ridotta a pelle e ossa. Tuttavia un ufficiale comunista usò tutta la sua influenza per farle avere la streptomicina di cui aveva bisogno"[15]
Durante l'esodo morirono a migliaia di fame e sete e più di ventimila uomini di Lon Nol furono uccisi, secondo la stessa ammissione di Khieu Samphân "dopo atroci sofferenze".[16]
In meno di ventiquattro ore, la capitale, con i suoi tre milioni di abitanti, fu svuotata, trasformata in una città fantasma.
Non era ancora cominciato il nuovo ciclo, che già ci furono i primi scontri, dovuti essenzialmente a questioni territoriali e all’incertezza delle identità dei singoli dell’esercito, non avendo una propria uniforme o una gerarchia di grado; tutti i Khmer rossi avevano un documento d’identità ma tutti, o quasi, erano analfabeti.
Per mettere ordine allo sgombero venne deciso dove far confluire i cittadini, in base alle zone di provenienza; non erano liberi di incamminarsi liberamente ma quelli del nord proseguirono su tale direzione, da ovest si dovevano dirigere verso Kampot o Kompong Speu, da sud verso Takeo o a est verso Svay Rieng.
Se nel caso in quel momento componenti delle famiglie si trovarono in zone diverse a questi venne vietato di ricongiungersi, vecchi e malati che non erano in grado di camminare venivano uccisi.[17]
Questa è la testimonianza di Pin Yathay, un ingegnere con incarichi governativi durante la dittatura di Lon Nol e sopravvissuto all'evacuazione di Phnom Penh raccolta in un'intervista in un quotidiano cambogiano del 22 dicembre 1978:
Quando Phnom Penh cadde, molti cambogiani, me compreso, erano felici, credendo che la pace fosse ritornata dopo cinque anni di guerra, ma la nostra gioia durò poche ore." I Khmer rossi ordinarono di evacuare la città e abbiamo camminato fino alla fine delle forze, stremati dal caldo, dal dolore, dalla fame e dalla sete [...]. Molti bambini sono morti durante il viaggio.[18]
6.3 Lo sgombero delle altre città Gli stessi scenari visti a Phnom Penh si ripeterono in tutta la Cambogia, con degli eventi ancora più crudeli: a Battambang, appena arrivati i quadri Khmer rossi ordinarono di ridurre fino a cento volte i prezzi degli alimenti, attirandosi le simpatie dei cittadini ma gettando nel baratro i commercianti, gli ufficiali governativi vennero caricati in cambio verso Samlaut a disboscare la foresta per creare nuove risaie, altri inviati a Phnom Penh o Sien Reap dove vennero giustiziati, stessa cosa accadde a Pailin, nel nord-ovest, a confine con la Thailandia. E fu proprio al confine con la Thailandia, a Poipet, che Tiziano Terzani visse in prima persona la liberazione della città da parte dei Khmer rossi.
Ricordò il giornalista che per circa un’ora assistette alla liberazione della cittadina, quando a un certo punto da una stazione radio fu trasmesso l’ordine, partito dalla capitale, di fucilare i giornalisti americani e decapitare funzionari repubblicani. Fu scambiato per un giornalista americano, ma quando un Khmer rosso che parlava francese vide il suo passaporto italiano, lo lasciarono andare, e incamminatosi verso Thailandia, scrisse:
al di la di quel ponte è finita la Cambogia dei repubblichini, della corruzione, dei funzionari arricchitisi con i dollari americani.[…] Comincia al di là una Cambogia diversa: povera, dura, sospettosa. La Cambogia dei contadini[19]
Gli abitanti di Pailin furono evacuati qualche giorno dopo, alcuni furono sistemati in villaggi rurali, altri fatti proseguire. Questi si unirono con gli evacuati di Battambang, e condotti nelle foreste in capanne di fortuna. I deportati furono privati di tutti i loro averi, perché tutto doveva essere dato a Ângkar [20].
6.3.1 Il rimpatrio dei diplomatici e dei stranieri Agli stranieri e i diplomatici ancora presenti in Cambogia, il GRUNK fece pervenire questa nota:
In seguito alla sua riunione in data 25 aprile 1975, il Consiglio dei ministri del Governo reale di unità nazionale della Kampuchea ha deliberato quanto segue:
Considerando il fatto che i rapporti diplomatici con gli altri paesi non sono ancora avviati regolarmente, in considerazione del fatto che il GRUNK è al momento occupato a riportare stabilità all’interno del paese,
Il Governo reale di unità nazionale della Kampuchea ha deciso di invitare gli stranieri che si trovano ancora nella città di Phnom Penh a lasciare il paese a partire dal 30 aprile 1975:
Quando in un tempo successivo, la situazione si sarà stabilizzata, il GRUNK esaminerà la questione della ripresa dei rapporti diplomatici;
Il GRUNK ha deciso di avviare tutti gli stranieri via terra da Phnom Penh a Poipet, e ciascun paese interessato a rimpatriare suoi cittadini dovrà farsene carico a partire da Poipet .[21]
I quasi mille e cinquecento stranieri alloggiati nell’ambasciata francese di Phnom Penh, cominciarono a credere che fosse una messinscena per sterminarli come accadde per i funzionari e militari il primo giorno di occupazione. Gli uomini di Lon Nol vennero fatti raggruppare nello stadio olimpico, dove in migliaia vennero giustiziati. Questo per fortuna non fu il destino degli stranieri e il rimpatrio cominciò il 28 aprile quando gli stranieri lasciarono la capitale per recarsi al confine con la Thailandia, dove i Khmer rossi fecero scrivere un documento ai giornalisti stranieri:
Noi sottoscritti, corrispondenti e giornalisti di stampa, radio e televisione e fotografi attualmente a Phnom Penh, ci impegnamo a non rendere pubblico nulla attraverso alcun mezzo di comunicazione e a non rilasciare alcuna dichiarazione né testimonianza di nessun genere prima di aver ottenuto la conferma che l’ultimo passeggero dell’ultimo convoglio proveniente dall’ambasciata francese di Phnom Penh abbia varcato la frontiera thailandese. Ci impegniamo inoltre a usare tutta la nostra influenza per impedire che altri organi di informazione pubblichino notizie e testimonianze su quanto è avvenuto a Phnom Penh dal 17 aprile in poi, prima che l’evacuazione delle persone rifiugiate in ambasciata abbia avuto termine. L’embargo sulla diffusione di informazioni, articoli, filmati, foto e nastri si intende fino a Bangkok.[22]
6.4 La politica del PCK
Dalla Pagoda d’Argento a Phnom Penh, dove Pol Pot stabilì il quartier generale dei Khmer rossi, si studiarono le prime politiche da attuare.
Innanzitutto si dette la precedenza all’agricoltura, considerata dal leader, la chiave per la costruzione della nazione e della difesa nazionale. Memore delle esperienze passate, a partire dal colonialismo francese agli aiuti americani, riteneva dovesse provvedere con le proprie forze, altrimenti si sarebbe dovuto pagare un tributo agli stati aiutanti
Khieu Samphân, disse che gli aiuti esteri avrebbero fatto dipendere la Cambogia dai mercati internazionali, ma considerando il fatto che la Cambogia non poteva aver nessun controllo su di essi perché erano dominati dagli interessi stranieri, si doveva quindi restringere il mercato libero .[23]
Per Noun Chea la costruzione del socialismo, come aveva sostenuto nella sua tesi, si ottiene attraverso due vie. Attraverso la modernizzazione dell'agricoltura, un processo lungo almeno dieci quindici anni, periodo durante il quale si attrezzerà la Cambogia di dighe e canali d’irrigazione, e solo dopo si potrà pensare ad modernizzare anche l'industria. Contemporaneamente si deve fare lavorare abbondantemente i cambogiani, per tirare fuori il meglio di loro, lavarli dalla contaminazione capitalista e kromtac, schiacciare, eliminare, uccidere il personale del governo passato.[24]
Un po’ alla volta il programma politico dei Khmer rossi si andò delineando Esso può essere riassunto negli otto punti insindacabili:
· Evacuazione della popolazione dalla città;
· Abolizione di tutti i mercati;
· Soppressione delle monete;
· Secolarizzazione dei monaci buddhisti che saranno messi a lavorare nei campi di riso;
· Esecuzione di tutti i dirigenti di Lon Nol a partire dai gradi più elevati;
· Creazione in tutto lo Stato di cooperative;
· Espulsione della minoranza vietnamita;
· Uso di truppe armate alla frontiera, specialmente al confine col Vietnam.[25]
L’evacuazione era già in atto, come pure l’esecuzione dei dirigenti del regime di Lon Nol.
Una volta che le città furono sgomberate, si passò alla divisione della società in tre distinte categorie: i neak peñ sith cioè i cittadini dai pieni diritti, i quali mostravano buona conoscenza politica, non avevano legame con i nuovi cittadini, quelli appena arrivati, i neak phñoe, i cittadini decaduti e anche abitanti di base che avevano legami di parentela con persone dal passato ritenuto negativo. Tra queste due classi vi era quella intermedia, i neak triem, cittadini candidati a diventare cittadini dai pieni diritti.
In un primo momento i cittadini dai pieni diritti e i candidati erano formati dai cittadini di base, cioè coloro che vivevano nelle zone liberate già prima della vittoria dei Khmer, erano il nuovo popolo, sul quale fondare la nuova Cambogia, la Cambogia dell’anno zero, mentre i decaduti, erano tutti appartenenti alla gente nuova, quelli che erano stati deportati dalle città appestate dal morbo capitalista. I contadini che si erano arricchiti e che erano andati a vivere nelle città, ritenuti neak phñoe potevano rientrare nei neak triem per poter aspirare a ritornare neak peñ sith, se avessero dimostrato la totale dedizione alla causa rivoluzionaria
Il sistema fu creato solo per un’unica ragione, cioè per sterminare i decaduti e lasciare viva solo la classe dei cittadini di base come l’unica della nazione.
Una volta finita l’evacuazione, si doveva pensare a come difendere la rivoluzione, impedire che thailandesi e vietnamiti approfittassero ancora dei cambogiani.
Si doveva far cambiare mentalità ai contadini, che non avevano mai dato valore all’ottenimento o al consumo della ricchezza. Valeva la regola che si produceva solo per vivere, non per guadagnare. Per smuovere questa mentalità, si fece ricorso a Ângkar.[26]
6.4.1 Ângkar Durante la vita nei campi, ai cambogiani che dovevano essere rieducati, veniva fatto ascoltare una ridondante filastrocca tramite i megafoni :
Ama Ângkar
Odia i nemici di Ângkar
Dì sempre la verità a Ângkar[27]
La parola Ângkar può essere tradotta dalla parola anga della lingua pāli, il linguaggio liturgico del buddhismo theravāda come arto, parte del corpo ed approssimativamente dal dizionario Khmer ângk che significa anch’esso parte del corpo, ma che può essere ricondotto al significato di organizzazione, struttura. Con il passare del tempo durante il periodo del regime di Pol Pot, Ângkar assume un significato quasi divino, rappresentando una entità astratta, a cui si deve obbedire senza fiatare.
Dietro quest’astratta figura i leader Khmer rossi si nascondevano e giustificavano ogni loro azione deprecabile, com’era privare qualcuno di una sua proprietà, trasferire persone da un campo all’altro della nazione, costringere i contadini a lavorare per produrre e raccogliere riso fino allo stremo delle forze fino ad arrivare ad arrestare, punire, picchiare e uccidere per presunte violazioni o negligenze.[28]Keng Vannsak, che all’epoca del soggiorno parigino, ebbe molta influenza sul giovane Saloth Sâr, dette la definizione più azzeccata di quello che era Ângkar:
Un gigantesco ordine di repressione e di terrore, in cui si concentravano Partito, Governo e Stato, non come questi sono solitamente concepiti, ma caratterizzati dal mistero e dalla spietatezza,[…] era un potere politico che seminava morte e terrore […].[29]
Ângkar aveva un codice, che può essere riassunti nei dodici comandamenti:
· Difendere e servire sempre il popolo, operai e contadini, portare un amore e una devozione incondizionati al popolo;
· Votarsi al popolo e servirlo con tutto il cuore in ogni luogo circostanza;
· Non toccare niente di ciò che appartiene al popolo, nemmeno se piccolissimo;
· Scusarsi con il popolo quando si commette un errore;
· Avere un atteggiamento irreprensibile e impeccabile nella vita di tutti i giorni: parlare, dormire, camminare, mangiare, stare in piedi, sedersi e divertirsi come conviene al popolo;
· Non commettere atti sospetti a avere un atteggiamento equivoco verso una donna;
· Non consumare assolutamente niente che presenti caratteristiche non rivoluzionarie;
· Non giocare d’azzardo;
· Non toccare i beni del popolo e dello Stato;
· Avere sempre un comportamento modesto nei confronti del popolo, ma restare sempre affamati d’odio per il nemico;
· Amare e praticare il lavoro manuale;
· Combattere il nemico e gli ostacoli con tutte le forze e avere il coraggio di fare tutti i sacrifici necessari per il popolo operaio e contadino.[30]
La vera natura di Ângkar era sconosciuta agli stessi dirigenti Khmer, quelli che occupavano un ruolo minore o che erano reclutati tra i cittadini di base.
Singolare, forse anche comico, fu l’episodio degli elicotteri americani ritrovati nella giungla da degli uomini di Pol Pot. Questi non si fecero problemi poiché non sapevano farli volare perché ci avrebbe pensato Ângkar ad fornire le istruzioni. A turno cercarono di farlo volare e il più bravo di loro, dopo vari tentativi riuscì ad alzarsi da terra, ma non sapendo manovrarlo, si schiantò. Decisero allora di cercare un pilota nei campi di riso, che mostrasse loro come fare. Una volta però levatosi da terra, scappò verso la Thailandia.[31]
Con la creazione di Ângkar, Pol Pot e i Khmer rossi si nascondevano forse per l’imbarazzo di non essere contadini, di non essere, stando alle proprie idee, i veri padroni della rivoluzione e giocando con l’ignoranza e la paura del popolo rurale, mascherando la loro vera natura, le loro origini di benestanti e il loro passato da intellettuali, dove molti di loro, tra cui Pol Pot avevano goduto dei vizi del capitalismo, le belle donne, le auto, e tutto quello che stavano cercando di far passare per immorale.
6.4.2 Il Kena Mocchhim Ben presto il PCK si dotò di un comitato esecutivo, un governo che venne definito il Kena Mocchhim. Il Comitato Macchine, che sostituì di fatto il GRUNK, anche se il capo dello Stato rimase Sihanouk. Allo Stato fu assegnato un nuovo nome: Kâmpŭchéa Prâcheathippadey, Kampuchea Democratica.
Primo ministro era Saloth Sâr, alias Pol Pot o fratello numero uno, poi in ordine gerarchico vennero il Presidente dell'assemblea generale Nuon Chea o fratello numero due; ministro degli Esteri Ieng Sary o Van; segretario della zona est So Vanna, altrimenti detto Sos Sar Yan o So Phim; ministro dell'economia Penh Thuok, o Sok Thuok o Vorn Vet: segretario del partito del nord-ovest Moul Sambath o Ros Nhim o Moul Un; ministro delle forze armate Ek Choen conosciuto come il terribile Ta Mok, ma conosciuto anche come Ta 15 o Chhit Choen; ministro della difesa Son Sen detto Khieu , B o 89; Presidente del presidio di Stato della Kampuchea Democratica Khieu Samphân o Herm. Un gradino più in basso veniva il comandante militare della zona nord ovest Keu, il ministro dell'azione sociale e dell'educazione la moglie di Ieng Sary, Khieu Thirith detta anche Phea o Hong; il ministro della cultura e dell'informazione Yun Yat, la moglie di Son Sen; il segretario della zona centrale Ke Vin o Ke Pauk; ministro del commercio Sua Vasi o Doeun, segretario del comitato permanente Phouk Chhay o Nang o Touc; segretario del PCK del nord Men San, alias Ney Sarann, Ya, Achar Sieng; ministro delle piantagioni di gomma Ek Sophon altrimenti detto Phuong o Veung Chhaem; segretario della zona est Seng Hong o Chan, della zona nord Kang Chap o Sae, della zona ovest Chou Chet o Thang Sy.[32]
Poi vi erano tre gruppi di comando militare: il centro A composto da Pol Pot, Son Sen, Ta Mok, Ke Pauk e Siet Chhe; il gruppo B da So Phim, Seng Houng, Kev Sammang, Ly Phen, Heng Samrin e Pol Sarouen; il gruppo C da Chen Sot, Ouch Bun Chhoeun, Kun Deth, Sok Sat, Chum Horì, Chum Sei e Hun Sen[33]
Di pari passo con la politica interna, procedevano anche le strategie delle alleanze con gli altri Stati, importante sia per la difesa del territorio, sia per ottenere aiuti per attuare il piano di sviluppo economico.
6.5 La politica estera dei Khmer rossi Alla fine di aprile, una volta ultimata la prima fase dell’evacuazione delle città, Pol Pot decise che la Commissione permanente dei Khmer rossi, composta oltre che dal leader anche da Nuon Chea e da Ieng Sary, dovesse recarsi in visita a Hanoi, proponendo un trattato di amicizia e di non aggressione, per far riconoscere ai vicino i confini tra i due Stati entro la Ligne Brévié, dal nome del governatore francese dell’Indocina Jules Brévié, che stabiliva il confine marittimo tra la Cambogia e il Vietnam al quale viene di diritto assoggettata l'isola di Phu Quoc[34]. Il Vietnam, piuttosto che accettare la Ligne Brévié, preferì trattare un accordo per i confini. Pol Pot rispose che senza quest’accordo la Cambogia si preservava la possibilità di conquistare terre anche oltre il confine proposto.
La vera intenzione del leader Khmer rosso era quella di mantenere le buone relazioni fino al momento in cui non si fosse armato a sufficienza per attaccare Hanoi.
Poco prima di entrare a Phnom Penh, con la conquista di Takeo, l’esercito rosso requisì un grosso quantitativo di armi, razzi, mitragliatrici cinesi, AK-47[35]E munizioni. Questo dette coraggio alle truppe cambogiane, che il 4 maggio decisero di occupare l’isola di Phu Quoc, vicino alle coste sud-orientali del paese di Kampot, e il 10 maggio si spostarono anche nella piccola Isola di Wai. Due giorni dopo accadde l’incidente del Mayaguez.[36]
6.5.1 Il caso Mayaguez Il 12 maggio forze del PCK fermarono la nave cantiere battente bandiera statunitense Mayaguez, per dei controlli nel golfo del Siam. Gli americani dopo tre giorni decisero di vendicarsi del dirottamento ma secondo Ralph Wetterhann queste azioni ebbero degli sviluppi poco chiari: innanzitutto i marines occuparono un’isola, Koh Tang, dove l’equipaggio non mai tenuto in ostaggio, giacché era a Rong Sam Lem; i cambogiani avevano già deciso di liberare l’equipaggio nonostante che in terra Khmer i bombardamenti fossero ancora in corso e la cosa forse che si rivelò più assurda fu che, per andare a salvare quaranta uomini, che formalmente erano già liberi, ne morirono sessantaquattro tra incidenti e scontri, e nella concitazione tre marinai furono dimenticati, per poi essere fucilati dai Khmer rossi.
Questo evento è storicamente fatto coincidere con l’ultimo scontro armato della guerra del Vietnam. [37]
6.5.2 Il riavvicinamento con il Vietnam Il 2 giugno durante la visita a Phnom Penh del leader comunista Nguyễn Văn Linh, tra i due Stati tornò la calma e il leader cambogiano affermò che gli scontri verificatesi non erano frutto di direttive politiche centrali ma dovuti alla “ignoranza politica delle truppe locali”[38]
Il problema però non si risolse così facilmente: il Vietnam aveva perso il controllo delle isole Paracell a vantaggio della Cina e non voleva perdere altro terreno nel golfo del Siam, e tantomeno era disponibile ad accettare che un alleato, per la cui causa aveva perso venticinquemila uomini, si trasformasse in un invasore. Per questo motivo il 10 giugno i vietnamiti attaccarono le forze Khmer nell’isola di Wai, facendo seicento ostaggi tra l’esercito di Pol Pot[39].
Il leader Khmer, una volta guarito dall’attacco di malaria che lo colpì qualche mese prima, guidò la commissione permanente a Hanoi per firmare il Trattato di amicizia e, dopo la visita di Le Duan, Nguyễn Văn Linh informò Nuon Chea che i vietnamiti avrebbero sgombrato Wai e rilasciato gli ostaggi.
Questo trattato fu solo il tentativo di Pol Pot di prendere ulteriormente tempo, come ammisero sia il ministro degli esteri vietnamita Nguyễn Cơ Thạch[40], sia Khieu Samphân in un’intervista.[41]
6.5.3 I rapporti con la Cina Terminati i colloqui di Hanoi, Pol Pot Ieng Saty Ney Saram e Siet Chhên si recarono, il 21 giugno segretamente a Pechino per incontrare Mao Tze-tung, ormai debilitato dal morbo di Parkinson e dal cancro alla prostata,[42]ma con la mente ancora lucida. Disse alla delegazione Khmer rossa: “Fate una correzione”, cercando di far capire che la rivoluzione andava concepita e realizzata all’interno del contesto mondiale, ma a Pol Pot il messaggio che arrivò fu un altro: non doveva copiare alla lettera l’esperienza rivoluzionaria cinese, ma creare la propria rivoluzione.
Anche se il Grande Maestro nutriva qualche dubbio sul progetto polpottiano, avendone capito la limitatezza culturale e filosofica dei Khmer rossi, restò affascinato dal fatto che riuscirono a svuotare le città, e anche se si rese conto che questa rivoluzione alla fine si sarebbe rivelata un’utopia, tra aiuti militare, economici e alimentari, sborsò alla Cambogia quasi un miliardo e mezzo di dollari. In realtà a Mao Tze-tung l’amicizia dei cambogiani serviva per tenere sotto controllo le mire espansioniste sovietiche nell’Indocina. Dopo la rottura dell’amicizia con il Vietnam per la questione delle Paracell, cominciò a considerarlo uno stato satellite di Mosca, pronto a farvi confluire anche il Laos, così che Pol Pot era l’unica ancora di salvezza contro il progetto sovietico.[43]
6.5.4 La visita a Kim Il Sung Da Pechino i Khmer rossi si spostarono a Pyongyang, per un’altra missione segreta. Nella capitale nordcoreana incontrarono il Presidente della Repubblica Kim Il Sung. Dopo il loro incontro nella città portuale nella Cambogia meridionale affacciata nel golfo del Siam di Kampong Som[44], arrivarono delle navi cargo nordcoreane con tessuti, medicinali, mezzi agricoli e generatori idroelettrici per la costruzione di dighe e generi alimentari. Furono questi i primi aiuti non cinesi che i Khmer rossi ricevettero. Oltre al materiale il caro leader inviò anche piloti da addestramento e personale per far funzionare le pompe. Come contropartita i nordcoreani inviarono una delegazione artistica che girò uno spot propagandistico a favore di Kim Il Sung.[45]
6.5.5 L’arrivo a Poipet e la chiusura delle frontiere Poipet, città di cinquantamila abitanti al confine con la Thailandia, fu liberata da un plotone del PCK composto per lo più da giovani donne, che dichiarandosi soldatesse di Sihanouk del movimento di liberazione nazionale, chiusero la frontiera con la promessa, vana, di riaprirla entro dieci giorni.
All’indomani della liberazione regnava la confusione: il commercio di riso con la Thailandia continuava, nonostante i cittadini di Poipet di origine thailandesi venivano fatti andare oltre confine, ad Aranyapratet.
La questione era puramente ideologica: dal governo thai arrivavano indirettamente gli aiuti di Mosca, e per questo motivo, dopo una visita ufficiale di Ieng Sary nella capitale thailandese, si decise di interrompere il commercio con Bangkok.
Dalla chiusura della frontiera a nord del paese la Cambogia s’isola dal mondo, lasciando aperti i cordoni commerciali solo con l’Albania, Cina, Corea del Nord e Romania.
Ancora una volta si dimostrò la limitatezza organizzativa e l’ideologia statica di Pol Pot, volta a considerare la sua utopia di non volere l’ingerenza straniera nello sviluppo della Kampuchea.[46]
6.6 Le decisioni economiche: la soppressione della moneta e dei mercati In un momento di tensione tra le zone di controllo est e sud-ovest della capitale durante l’evacuazione fu fatta saltare la Banca Centrale e si tentò di camuffare il fatto come l’opera di banditi in fuga.
L’esplosione della Banca quindi non fu scelto come simbolo della distruzione del denaro, come parecchi studi storici tendono a confermare, giacché vi era, nelle intenzioni dei Khmer rossi, la volontà di emettere una propria valuta e istituire un sistema bancario[47]. Una prova dell’esistenza della moneta dei Khmer rossi viene dalla testimonianza della sopravvissuta Thida Mam:
A Prek Po[…] vedemmo per la prima volta la banconota dei Khmer rossi,[…], dai colori vivaci in cui vi erano raffigurati dei soldati o dei contadini intenti alla raccolta del riso o altre scene raffigurante la vita lavorativa all’aperto.[48]
Infatti, la nuova banconota era pronta a essere immessa in circolazione ad agosto quando Presidente della Banca Centrale fu nominato Pich Chheang al posto di Non Suon, il quale aveva il compito di addestrare una sessantina di contadini, ai quali far gestire le filiali della banca.
Tuttavia, i più importanti leader Khmer rossi, tra cui Ta Mok, l’idea non piacque. L’ex monaco vedeva bene l’instaurazione di un sistema di baratti, sostenendo che se ci fosse stato il denaro ci sarebbero verificati episodi di corruzione. Lo stesso Pol Pot, d’accordo con Ta Mok, fece notare che senza il denaro sarebbe progressivamente sparita la proprietà privata e che il collettivismo ne avrebbe giovato.
La decisione di non emettere la nuova moneta fu ufficializzata il 19 settembre.
Con la scomparsa della moneta, sparirono anche i mercati, in quanto il commercio si sarebbe risolto nel baratto tra le varie regioni. Il Comitato centrale decise che la produzione del riso doveva essere di tre tonnellate di riso annue per ettaro per essere autosufficienti: una parte doveva essere destinata alla sussistenza dei contadini, un’altra parte andava allo stato, che fino alla messa in atto delle cooperative avrebbe provveduto a scuole, ospedali.
Quando Pol Pot si accorse che i cittadini deportati da Phnom Penh verso il sud ovest, stremati dalla mancanza di viveri e di medicinali erano improduttivi, non fecero pervenire loro i beni di cui necessitava, ma decise per una redistribuzione della forza lavoro, dando vita ad una nuova evacuazione.[49]
6.7 La questione degli intellettuali Durante i mesi convulsi, in cui la Cambogia si stava lasciando dietro le spalle cinque anni di guerra civile e la deposizione di una dittatura, la speranza di una vera ripresa con i Khmer rossi fece decidere a molti intellettuali il ritorno in patria.
Il Kena Mocchhim li fece rimpatriare a partire da settembre, per non lasciarli fuori dai confini per troppo tempo, decidendo che i nuovi arrivati dovevano lavorare ancora di più nei campi, dovevano essere formati ed educati alla nuova società”
Tra quelli che fecero ritorno a Phnom Penh c’era una donna francese, la sola occidentale che dopo l’esilio forzato a Pechino, arrivò in Cambogia. Era Laurence Picq, moglie di Suong Sikouen, uno degli studenti più radicali durante gli anni cinquanta, che trovatasi dinanzi a una città deserta, scrisse in un dattiloscritto:
“Quel silenzio. Un silenzio terribile, carico del dolore di una popolazione che era stata lacerata, delle grida di disperazione dell’angoscia di una sofferenza smisurata”[50]
Tutti quelli che non erano contadini, furono considerati intellettuali, dal medico al militare, bastava avere un minimo di cultura perché questa andava contro il volere di Ângkar.
Si doveva solo lavorare e produrre e non avere bisogno di nessuno, solo di Ângkar.
Fu in questo contesto che si scontrano le due teorie più importanti sulla nascita del regime dei Khmer rossi.
Michael Vickery nel libro “Cambodia 1975-1982”, interpretò la nuova società come figlia di una rivoluzione contadina totale, dove i rivoluzionari vincitori fecero quello che i poveri contadini avrebbero sempre voluto fare ai loro nemici borghesi delle città, la violenza del regime del Kampuchea non era frutto della malvagità partorita dalla mente di Pol Pot o di Khieu Samphân, ma della prevalenza del movimento contadino sul consumismo. La Kampuchea Democratica non era un regime stalinista o comunista, ma appunto un regime figlio del movimento contadino, quello che non fu prevedibile fu il corso degli eventi e l’escalation così drammatica di morti e di sconvolgimenti sociali[51], mentre nella sua interpretazione Kate Frieson contestò allo storico francese l’idea che i Khmer rossi avessero il supporto di una larga parte dei contadini. In base alle testimonianze da lei stessa raccolte tra i superstiti, questi si ritrovarono attori inconsapevoli in cui i loro capi non avevano un volto, non erano chiari gli obiettivi, subivano passivamente Ângkar. I contadini non dichiararono mai la loro adesione al movimento ma furono costretti a farlo per sopravvivere al regime che si venne a creare sotto Lon Nol. Frieson in modo molto amaro riassunse le strategie di sopravvivenza usate dai lavoratori nei campi di riso: “scavare, piegare la schiena e maledire la sorte in silenzio”[52]
6.8 Il folle progetto: “cambiare mentalità” Per Khieu Samphân una rivoluzione comunista si fa distruggendo la proprietà privata. Proprietà privata che non è solo la proprietà materiale, che si distrusse facilmente con lo sgombero della città, delle case e con la privazione degli ma trova la sua ragion d’essere nella “proprietà spirituale”, che è tutto ciò che è personale. Durante un seminario diretto dal leader Khmer rosso ai rimpatriati, spiegò molto bene la sua teoria:
Tutto quanto definisci mio […] è proprietà privata spirituale. Pensare in termini di “me” e “di mio” è proibito. Se dici “mia moglie” sbagli. Dovresti dire “la nostra famiglia.” La nazione cambiogiana è la nostra famiglia. Ecco perché siete separati: uomini con uomini, donne con le donne, i bambini con i bambini. […] Noi siamo i figli di Ângkar, l’uomo di Ângkar, la donna di Ângkar[…] Per diventare i veri rivoluzionari dovete lavarvi il cervello finchè sarà pulito[53]
La vera rivoluzione per Khieu Samphân avrà successo solo quando la proprietà privata sarà estirpata dalla mentalità del vecchio cambogiano, che per natura è attratto dagli eccessi. Per il ministro della difesa“Zero per te, zero per me, quello è il comunismo” [54]
Si voleva ottenere la distruzione della persona, vista come il guscio aggressivo che rappresenta la quintessenza del controrivoluzionario attraverso l’eliminazione della famiglia e dell’indottrinamento e dal logorio fisico dettato dalla fame, dalla stanchezza e dall’isolamento.
[1] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia: The Khmer Rouge, the U.N., and the International Community, New Haven , Ben Kiernan Editor 1999, p. 355.
[2] Traduzione: assistemmo ad incredibili scene di solidarietà tra i soldati nei campi, comunisti e non. Nel tripudio generale, al quale si mescolarono i civili, si acclamò il ritorno della pace, dall'articolo La mise à mort de la République Khmère da Le Figaro del 17 aprile 1975 <http://khmericide.eu/la-mise-a-mort-de-la-republique-khmere#sdfootnote6anc>, ultima visione: 21 settembre 2012.
[3] P.Short. Pol Pot, cit., p .358.
[4] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia, cit., p. 355.
[5] Ivi, p. 356.
[6] P. Short, Pol Pot, cit., p. 356.
[7] R.Gutman e D.Rieff (a cura di), Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere, Roma, Contrasto Internazionale 1999, p. 68.
[8] P.Short. Pol Pot, cit., p. 358.
[9] F.Ponchaud, Cambodia Year zero, Toronto, Rinehart and Winston 1978, p. 21.
[10] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia, cit., p. 55.
[11] F.Rampini, All'ombra di Mao, Milano, Mondadori, 2007, p. 271.
[12] P. Short, Pol Pot, cit., p. 360.
[13] R.Gutman, D.Rieff (a cura di), Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere, cit., p. 61.
[14] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia, cit., pp. 45-51.
[15] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge, 1975-1979: Race, idéologie, et pouvoir, Paris, Gallimard 1998, p. 59.
[16] Ivi, p. 60.
[17] P.Short. Pol Pot, cit., p. 367.
[18] Dall'intervista a Pin Yathay, pubblicato in un quotidiano cambogiano da National Review <http://www.nationalreview.com/nroriginals/?q=ZDEwNjk2MTBiYzc5MmM0MTUwNTA0OTJhZjExOWMzZTY=more> , ultima visione: 6 settemre 2012.
[19] T.Terzani, Fantasmi Dispacci dalla Cambogia, Milano, Longanesi 2008, pp. 119-123.
[20] P. Short, Pol Pot, cit., p. 368.
[21] F.Bizot, Il Cancello, Milano, Ponte Alle Grazie 2001, p. 213.
[22] F.Bizot, Il Cancello, cit , p. 220.
[23] P. Short, Pol Pot, cit., pp. 382-385.
[24] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 72
[25] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 62.
[26] P.Short. Pol Pot, cit., pp. 387-392.
[27] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge, 1975-1979: Race, idéologie, et pouvoir, Paris, Gallimard 1998, p. 37.
[28]A.L. Hinton, Why did they Kill? Cambodia in the shadow of Genocide Los Angeles CA, University California Press 2004, pp. 127-128.
[29] W.G. Burchett, The China-Cambodia-Vietnam triangle, Hillsboro WV, Vanguard Books 1981, p. 95.
[30] O.T. Hoeng, Ho creduto nei Khmer rossi. Ripensamento di un'illusione, Milano, Edizioni Angelo Guerini e Associati 2004, pp. 55-56.
[31] P. F. Idling, Il sorriso di Pol Pot, Stoccolma, Atlas 2006, p. 167.
[32] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia: The Khmer Rouge, the U.N., and the International Community, New Haven , Ben Kiernan Editor 1999, p. 14.
[33]Ivi, p. 15.
[34] Senato Francese, <http://www.senat.fr/ga/ga75/ga751.html>, ultima visione: 20 settembre 2012.
[35] Avtomat Kalašnikova obrazca 1947, <http://kalashnikov.guns.ru/>, ultima visione: 20 settembre 2012.
[36] P. Short, Pol Pot, cit., pp. 392.
[37] R.Wetterhahn, The Last Battle: The Mayaguez Incident and the End of the Vietnam War, New York , First Carroll & Graft Edition 2001, pp. 212-216.
[38] P.Short. Pol Pot, cit., p. 393.
[39] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., pp. 125-126.
[40] Vero nome era Pham Van Cuong.
[41] P.Short, Pol Pot, cit., p. 395.
[42] P.Corradini, Cina Popoli e Società in 5 milioni di Storia, Firenze, Giunti Editore 2005, p. 489.
[43] P.Short, Pol Pot, cit., pp. 397-401.
[44] Meglio conosciuta come Sihanoukville.
[45] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 155.
[46] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 163-171.
[47] P. Short, Pol Pot, cit., p. 367.
[48] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 60.
[49] P.Short. Pol Pot, cit., pp. 405-409.
[50] Ivi, p. 411.
[51]M.Vickery, Cambodia: 1975-1982, Seattle, University of Washington Press 2000, pp. 66-70.
[52]K. Frieson, Revolution and Rural Response in Cambodia: 1970-1975 in Genocide and Democracy in Cambodia
[53] P.Short. Pol Pot, cit., p. 418.
[54] Ivi, 418-420.
6.1 L’arrivo a Phnom Penh Alle sei di sera del 16 aprile i Khmer rossi si erano appostati Takmau, ai confini sud-ovest della capitale.
Lasciata dietro la scia di morti, tra i seicento e gli ottocentomila durante gli scontri tra ribelli e governo, [1] Pol Pot e compagni il giorno seguente entrarono a Phnom Penh, tra un mare di cittadini felici ed eccitati dalla liberazione dal regime di Lon Nol.
All’arrivo dei ribelli, la gente scese in piazza festante, Phnom Penh era invasa di persone festanti, mentre le truppe governative si arrendevano.
Scrisse l’inviato de Le Figaro:
On assistait alors à d’incroyables scènes de fraternisation entre les soldats des camps, communistes et anticommunistes. Dans une liesse générale, à laquelle se mêlaient les civils, on acclamait la paix revenue[2]
Su Radio Phnom Penh, Mey Sichân, un anziano generale repubblicano rassicurava la popolazione dicendo che si sarebbe cercata una soluzione rapida e pacifica per il trasferimento dei poteri, mentre all’improvviso una voce lo interruppe tuonando:
“stiamo entrando nella capitale con la forza delle armi”[3]
Fino a quel momento nessuno sembrava spaventato; a capo della resistenza c’era Sihanouk, il programma del FUNK dava ampie garanzie di libertà religiose, il personale si dimostrava indulgente con gli avversari e considerava inviolabili la persona, la proprietà e la ricchezza, tanto che uomini di Lon Nol erano convinti che i Khmer rossi, essendo comunisti e patrioti, avrebbero rispettato la volontà del popolo, e qualora le cose fossero peggiorate, potevano espatriare come il FUNK prometteva.
Mentre gli uomini dell’esercito di Lon Nol si arrendevano, i Khmer rossi, uomini e donne vestiti di nero, li spogliarono, raccolsero le loro armi e perquisirono i veicoli.[4]
Son Nikan, fratello di Son Sen ricordò:
Entrammo da tutte le direzioni, [...] pensavamo che la città cadesse tra le dieci e trenta e mezzogiorno, ma in realtà avvenne un’ora prima.[…] Tutti i nostri obiettivi erano raggiunti.[5]
6.1.1.Ritratto dei Khmer rossi soldato L’ordine era semplice e chiaro: attaccare e liberare Phnom Penh ed evacuare provvisoriamente la popolazione dalla città.
Dai ricordi delle persone, quello del giornalista Dith Pran:
I nuovi arrivati erano coperti dal sudiciume della giungla, indossavano abiti neri fuori misura con bandane colorati o berretti alla Mao[..] non sorridevano mai, non sembravano neanche cambogiani[6]
Entrarono in città a passo di marcia, visi gelidi, indifferenza sugli occhi, un solo obiettivo, tutti gli abitanti dovevano lasciare le case e andare in campagna per unirsi alla gloriosa rivoluzione, uccidere chi non obbediva.[7]
Erano ragazzini, quasi tutti non arrivavano ad avere quattordici anni, tra loro vi erano bambini, tolti dai genitori e cresciuti senza sentimenti, pronti a uccidere anche i loro padri, analfabeti, vissuti senza acqua corrente o elettricità, ignoranti di qualsiasi tecnologia, non sapevano neppure cosa fosse un’automobile. Erano le persone ideali, quelle che dovevano condurre la rivoluzione nella visione polpottiana, erano i puri, quelli da prendere come modello, sui quali si doveva fondare la nuova classe sociale.
Per com’erano stati indottrinati nella giungla, ai loro occhi i cittadini della capitale erano tutti pervertiti o prostitute, bastava questi portassero i capelli lunghi o un filo di trucco.
Erano disinteressati al denaro, non fecero razzia di oggetti personali, dai veicoli sfasciati contro i muri delle case che cercarono inutilmente di guidare, non sapendo cosa fosse un cambio o un volante, tagliavano la gomma dello pneumatico per fare le suole delle scarpe.[8]
Un quadro dei Khmer rossi disse a Ponchaud che l’obiettivo era di rieducare la popolazione, e attraverso la bonifica della terra, seminando e raccogliendone i frutti, gli uomini avrebbero imparato il valore reale delle cose.[9]
6.2 L’evacuazione di Phnom Penh Il piano d’azione dei Khmer rossi, dopo l’arrivo nella capitale, può essere diviso in due momenti: inizialmente fu costituito il Comitato per l’uccisione dei nemici, in cui si decise pressoché all’istante la condanna a morte dell’ultimo premier Long Boret e di altri repubblicani, e la loro eliminazione nell’improvvisato carcere non lontano dal ministero dell’informazione.
Nel primo pomeriggio si dette attuazione alla seconda fase del programma.
I soldati andarono casa per casa, invitando gli abitanti della città a lasciare le loro abitazioni.
Assicurarono che l'evacuazione sarebbe stata provvisoria, che non era necessario prendere provviste in quanto Ângkar avrebbe pensato a loro, sarebbero stati fuori dalla città al massimo per tre giorni, poi sarebbero potuti rientrare.[10]
Agli sfollati venne vietato di chiudere le case perché i Khmer rossi promisero che si sarebbero occupati di tutto in loro assenza.[11]L’evacuazione venne giustificata con il pretesto che gli americani erano pronti a bombardare la città, come andarono a ripetere gli auto parlanti.
L’abbandono della capitale avvenne nella totale confusione: tre milioni di abitanti si muovevano “come biglie di un flipper, non sapevano dove andare.”[12]
I guerriglieri ordinarono che persino i feriti lasciassero gli ospedali. Nei nosocomi di Phnom Penh trovavano assistenza quasi diecimila persone, la maggior parte della quale non era in grado di stare in piedi, cosicché i parenti li trasportarono via nelle lettighe, con le sacche di sangue e flebo attaccate.[13]
Si venne a creare una situazione paradossale, nella città esisteva “due Phnom Penh”: quella formata da due milioni che vivevano nelle baraccopoli, arrivati durante i bombardamenti delle campagne che avrebbero desiderato rientrare nelle terre natie ma con i propri ritmi, e quella formata dai seicentomila abitanti originari, che con amarezza e desolazione stavano lasciando la loro casa, i loro averi per abbandonarsi verso l’ignoto.
La confusione degenerò nel caos a causa delle diverse disposizioni che i responsabili delle diverse zone di occupazione della città ricevettero; a nord lo sgombro fu pianificato diverse settimane prima e avvenne in maniera ordinata, tanto che i cittadini riuscirono a portare con loro cibo e qualche effetto personale, mentre a sud-ovest venne impartito l’ordine solo qualche ora prima con la direttiva che questo sarebbe durato qualche ora al massimo, e la gente per nulla intimorita chiuse la porta di casa e stette in silenzio, a est i dirigenti neppure sapevano dell’ordine di sgombero, tanto che questo cominciò solo quando era in arrivo la massa di cittadini provenienti dalle altre zone e dirette dalla loro direzione verso a Svay Rieng. Mentre un’altra parte di persone venne inviata a Takeo[14].
Durante il cammino i soldati cominciarono a chiedere agli evacuati il loro mestiere, ai funzionari del governo di Lon Nol di farsi riconoscere per essere caricati in camion, divisi per sesso, e condotti alla morte. Migliaia di esecuzioni sommarie furono eseguite in poche ore, ma con le altre persone erano buoni, rassicuranti. Da una testimonianza di un evacuato:
"dopo una settimana di cammino Tevi, nipote di Thida Mam era ridotta a pelle e ossa. Tuttavia un ufficiale comunista usò tutta la sua influenza per farle avere la streptomicina di cui aveva bisogno"[15]
Durante l'esodo morirono a migliaia di fame e sete e più di ventimila uomini di Lon Nol furono uccisi, secondo la stessa ammissione di Khieu Samphân "dopo atroci sofferenze".[16]
In meno di ventiquattro ore, la capitale, con i suoi tre milioni di abitanti, fu svuotata, trasformata in una città fantasma.
Non era ancora cominciato il nuovo ciclo, che già ci furono i primi scontri, dovuti essenzialmente a questioni territoriali e all’incertezza delle identità dei singoli dell’esercito, non avendo una propria uniforme o una gerarchia di grado; tutti i Khmer rossi avevano un documento d’identità ma tutti, o quasi, erano analfabeti.
Per mettere ordine allo sgombero venne deciso dove far confluire i cittadini, in base alle zone di provenienza; non erano liberi di incamminarsi liberamente ma quelli del nord proseguirono su tale direzione, da ovest si dovevano dirigere verso Kampot o Kompong Speu, da sud verso Takeo o a est verso Svay Rieng.
Se nel caso in quel momento componenti delle famiglie si trovarono in zone diverse a questi venne vietato di ricongiungersi, vecchi e malati che non erano in grado di camminare venivano uccisi.[17]
Questa è la testimonianza di Pin Yathay, un ingegnere con incarichi governativi durante la dittatura di Lon Nol e sopravvissuto all'evacuazione di Phnom Penh raccolta in un'intervista in un quotidiano cambogiano del 22 dicembre 1978:
Quando Phnom Penh cadde, molti cambogiani, me compreso, erano felici, credendo che la pace fosse ritornata dopo cinque anni di guerra, ma la nostra gioia durò poche ore." I Khmer rossi ordinarono di evacuare la città e abbiamo camminato fino alla fine delle forze, stremati dal caldo, dal dolore, dalla fame e dalla sete [...]. Molti bambini sono morti durante il viaggio.[18]
6.3 Lo sgombero delle altre città Gli stessi scenari visti a Phnom Penh si ripeterono in tutta la Cambogia, con degli eventi ancora più crudeli: a Battambang, appena arrivati i quadri Khmer rossi ordinarono di ridurre fino a cento volte i prezzi degli alimenti, attirandosi le simpatie dei cittadini ma gettando nel baratro i commercianti, gli ufficiali governativi vennero caricati in cambio verso Samlaut a disboscare la foresta per creare nuove risaie, altri inviati a Phnom Penh o Sien Reap dove vennero giustiziati, stessa cosa accadde a Pailin, nel nord-ovest, a confine con la Thailandia. E fu proprio al confine con la Thailandia, a Poipet, che Tiziano Terzani visse in prima persona la liberazione della città da parte dei Khmer rossi.
Ricordò il giornalista che per circa un’ora assistette alla liberazione della cittadina, quando a un certo punto da una stazione radio fu trasmesso l’ordine, partito dalla capitale, di fucilare i giornalisti americani e decapitare funzionari repubblicani. Fu scambiato per un giornalista americano, ma quando un Khmer rosso che parlava francese vide il suo passaporto italiano, lo lasciarono andare, e incamminatosi verso Thailandia, scrisse:
al di la di quel ponte è finita la Cambogia dei repubblichini, della corruzione, dei funzionari arricchitisi con i dollari americani.[…] Comincia al di là una Cambogia diversa: povera, dura, sospettosa. La Cambogia dei contadini[19]
Gli abitanti di Pailin furono evacuati qualche giorno dopo, alcuni furono sistemati in villaggi rurali, altri fatti proseguire. Questi si unirono con gli evacuati di Battambang, e condotti nelle foreste in capanne di fortuna. I deportati furono privati di tutti i loro averi, perché tutto doveva essere dato a Ângkar [20].
6.3.1 Il rimpatrio dei diplomatici e dei stranieri Agli stranieri e i diplomatici ancora presenti in Cambogia, il GRUNK fece pervenire questa nota:
In seguito alla sua riunione in data 25 aprile 1975, il Consiglio dei ministri del Governo reale di unità nazionale della Kampuchea ha deliberato quanto segue:
Considerando il fatto che i rapporti diplomatici con gli altri paesi non sono ancora avviati regolarmente, in considerazione del fatto che il GRUNK è al momento occupato a riportare stabilità all’interno del paese,
Il Governo reale di unità nazionale della Kampuchea ha deciso di invitare gli stranieri che si trovano ancora nella città di Phnom Penh a lasciare il paese a partire dal 30 aprile 1975:
Quando in un tempo successivo, la situazione si sarà stabilizzata, il GRUNK esaminerà la questione della ripresa dei rapporti diplomatici;
Il GRUNK ha deciso di avviare tutti gli stranieri via terra da Phnom Penh a Poipet, e ciascun paese interessato a rimpatriare suoi cittadini dovrà farsene carico a partire da Poipet .[21]
I quasi mille e cinquecento stranieri alloggiati nell’ambasciata francese di Phnom Penh, cominciarono a credere che fosse una messinscena per sterminarli come accadde per i funzionari e militari il primo giorno di occupazione. Gli uomini di Lon Nol vennero fatti raggruppare nello stadio olimpico, dove in migliaia vennero giustiziati. Questo per fortuna non fu il destino degli stranieri e il rimpatrio cominciò il 28 aprile quando gli stranieri lasciarono la capitale per recarsi al confine con la Thailandia, dove i Khmer rossi fecero scrivere un documento ai giornalisti stranieri:
Noi sottoscritti, corrispondenti e giornalisti di stampa, radio e televisione e fotografi attualmente a Phnom Penh, ci impegnamo a non rendere pubblico nulla attraverso alcun mezzo di comunicazione e a non rilasciare alcuna dichiarazione né testimonianza di nessun genere prima di aver ottenuto la conferma che l’ultimo passeggero dell’ultimo convoglio proveniente dall’ambasciata francese di Phnom Penh abbia varcato la frontiera thailandese. Ci impegniamo inoltre a usare tutta la nostra influenza per impedire che altri organi di informazione pubblichino notizie e testimonianze su quanto è avvenuto a Phnom Penh dal 17 aprile in poi, prima che l’evacuazione delle persone rifiugiate in ambasciata abbia avuto termine. L’embargo sulla diffusione di informazioni, articoli, filmati, foto e nastri si intende fino a Bangkok.[22]
6.4 La politica del PCK
Dalla Pagoda d’Argento a Phnom Penh, dove Pol Pot stabilì il quartier generale dei Khmer rossi, si studiarono le prime politiche da attuare.
Innanzitutto si dette la precedenza all’agricoltura, considerata dal leader, la chiave per la costruzione della nazione e della difesa nazionale. Memore delle esperienze passate, a partire dal colonialismo francese agli aiuti americani, riteneva dovesse provvedere con le proprie forze, altrimenti si sarebbe dovuto pagare un tributo agli stati aiutanti
Khieu Samphân, disse che gli aiuti esteri avrebbero fatto dipendere la Cambogia dai mercati internazionali, ma considerando il fatto che la Cambogia non poteva aver nessun controllo su di essi perché erano dominati dagli interessi stranieri, si doveva quindi restringere il mercato libero .[23]
Per Noun Chea la costruzione del socialismo, come aveva sostenuto nella sua tesi, si ottiene attraverso due vie. Attraverso la modernizzazione dell'agricoltura, un processo lungo almeno dieci quindici anni, periodo durante il quale si attrezzerà la Cambogia di dighe e canali d’irrigazione, e solo dopo si potrà pensare ad modernizzare anche l'industria. Contemporaneamente si deve fare lavorare abbondantemente i cambogiani, per tirare fuori il meglio di loro, lavarli dalla contaminazione capitalista e kromtac, schiacciare, eliminare, uccidere il personale del governo passato.[24]
Un po’ alla volta il programma politico dei Khmer rossi si andò delineando Esso può essere riassunto negli otto punti insindacabili:
· Evacuazione della popolazione dalla città;
· Abolizione di tutti i mercati;
· Soppressione delle monete;
· Secolarizzazione dei monaci buddhisti che saranno messi a lavorare nei campi di riso;
· Esecuzione di tutti i dirigenti di Lon Nol a partire dai gradi più elevati;
· Creazione in tutto lo Stato di cooperative;
· Espulsione della minoranza vietnamita;
· Uso di truppe armate alla frontiera, specialmente al confine col Vietnam.[25]
L’evacuazione era già in atto, come pure l’esecuzione dei dirigenti del regime di Lon Nol.
Una volta che le città furono sgomberate, si passò alla divisione della società in tre distinte categorie: i neak peñ sith cioè i cittadini dai pieni diritti, i quali mostravano buona conoscenza politica, non avevano legame con i nuovi cittadini, quelli appena arrivati, i neak phñoe, i cittadini decaduti e anche abitanti di base che avevano legami di parentela con persone dal passato ritenuto negativo. Tra queste due classi vi era quella intermedia, i neak triem, cittadini candidati a diventare cittadini dai pieni diritti.
In un primo momento i cittadini dai pieni diritti e i candidati erano formati dai cittadini di base, cioè coloro che vivevano nelle zone liberate già prima della vittoria dei Khmer, erano il nuovo popolo, sul quale fondare la nuova Cambogia, la Cambogia dell’anno zero, mentre i decaduti, erano tutti appartenenti alla gente nuova, quelli che erano stati deportati dalle città appestate dal morbo capitalista. I contadini che si erano arricchiti e che erano andati a vivere nelle città, ritenuti neak phñoe potevano rientrare nei neak triem per poter aspirare a ritornare neak peñ sith, se avessero dimostrato la totale dedizione alla causa rivoluzionaria
Il sistema fu creato solo per un’unica ragione, cioè per sterminare i decaduti e lasciare viva solo la classe dei cittadini di base come l’unica della nazione.
Una volta finita l’evacuazione, si doveva pensare a come difendere la rivoluzione, impedire che thailandesi e vietnamiti approfittassero ancora dei cambogiani.
Si doveva far cambiare mentalità ai contadini, che non avevano mai dato valore all’ottenimento o al consumo della ricchezza. Valeva la regola che si produceva solo per vivere, non per guadagnare. Per smuovere questa mentalità, si fece ricorso a Ângkar.[26]
6.4.1 Ângkar Durante la vita nei campi, ai cambogiani che dovevano essere rieducati, veniva fatto ascoltare una ridondante filastrocca tramite i megafoni :
Ama Ângkar
Odia i nemici di Ângkar
Dì sempre la verità a Ângkar[27]
La parola Ângkar può essere tradotta dalla parola anga della lingua pāli, il linguaggio liturgico del buddhismo theravāda come arto, parte del corpo ed approssimativamente dal dizionario Khmer ângk che significa anch’esso parte del corpo, ma che può essere ricondotto al significato di organizzazione, struttura. Con il passare del tempo durante il periodo del regime di Pol Pot, Ângkar assume un significato quasi divino, rappresentando una entità astratta, a cui si deve obbedire senza fiatare.
Dietro quest’astratta figura i leader Khmer rossi si nascondevano e giustificavano ogni loro azione deprecabile, com’era privare qualcuno di una sua proprietà, trasferire persone da un campo all’altro della nazione, costringere i contadini a lavorare per produrre e raccogliere riso fino allo stremo delle forze fino ad arrivare ad arrestare, punire, picchiare e uccidere per presunte violazioni o negligenze.[28]Keng Vannsak, che all’epoca del soggiorno parigino, ebbe molta influenza sul giovane Saloth Sâr, dette la definizione più azzeccata di quello che era Ângkar:
Un gigantesco ordine di repressione e di terrore, in cui si concentravano Partito, Governo e Stato, non come questi sono solitamente concepiti, ma caratterizzati dal mistero e dalla spietatezza,[…] era un potere politico che seminava morte e terrore […].[29]
Ângkar aveva un codice, che può essere riassunti nei dodici comandamenti:
· Difendere e servire sempre il popolo, operai e contadini, portare un amore e una devozione incondizionati al popolo;
· Votarsi al popolo e servirlo con tutto il cuore in ogni luogo circostanza;
· Non toccare niente di ciò che appartiene al popolo, nemmeno se piccolissimo;
· Scusarsi con il popolo quando si commette un errore;
· Avere un atteggiamento irreprensibile e impeccabile nella vita di tutti i giorni: parlare, dormire, camminare, mangiare, stare in piedi, sedersi e divertirsi come conviene al popolo;
· Non commettere atti sospetti a avere un atteggiamento equivoco verso una donna;
· Non consumare assolutamente niente che presenti caratteristiche non rivoluzionarie;
· Non giocare d’azzardo;
· Non toccare i beni del popolo e dello Stato;
· Avere sempre un comportamento modesto nei confronti del popolo, ma restare sempre affamati d’odio per il nemico;
· Amare e praticare il lavoro manuale;
· Combattere il nemico e gli ostacoli con tutte le forze e avere il coraggio di fare tutti i sacrifici necessari per il popolo operaio e contadino.[30]
La vera natura di Ângkar era sconosciuta agli stessi dirigenti Khmer, quelli che occupavano un ruolo minore o che erano reclutati tra i cittadini di base.
Singolare, forse anche comico, fu l’episodio degli elicotteri americani ritrovati nella giungla da degli uomini di Pol Pot. Questi non si fecero problemi poiché non sapevano farli volare perché ci avrebbe pensato Ângkar ad fornire le istruzioni. A turno cercarono di farlo volare e il più bravo di loro, dopo vari tentativi riuscì ad alzarsi da terra, ma non sapendo manovrarlo, si schiantò. Decisero allora di cercare un pilota nei campi di riso, che mostrasse loro come fare. Una volta però levatosi da terra, scappò verso la Thailandia.[31]
Con la creazione di Ângkar, Pol Pot e i Khmer rossi si nascondevano forse per l’imbarazzo di non essere contadini, di non essere, stando alle proprie idee, i veri padroni della rivoluzione e giocando con l’ignoranza e la paura del popolo rurale, mascherando la loro vera natura, le loro origini di benestanti e il loro passato da intellettuali, dove molti di loro, tra cui Pol Pot avevano goduto dei vizi del capitalismo, le belle donne, le auto, e tutto quello che stavano cercando di far passare per immorale.
6.4.2 Il Kena Mocchhim Ben presto il PCK si dotò di un comitato esecutivo, un governo che venne definito il Kena Mocchhim. Il Comitato Macchine, che sostituì di fatto il GRUNK, anche se il capo dello Stato rimase Sihanouk. Allo Stato fu assegnato un nuovo nome: Kâmpŭchéa Prâcheathippadey, Kampuchea Democratica.
Primo ministro era Saloth Sâr, alias Pol Pot o fratello numero uno, poi in ordine gerarchico vennero il Presidente dell'assemblea generale Nuon Chea o fratello numero due; ministro degli Esteri Ieng Sary o Van; segretario della zona est So Vanna, altrimenti detto Sos Sar Yan o So Phim; ministro dell'economia Penh Thuok, o Sok Thuok o Vorn Vet: segretario del partito del nord-ovest Moul Sambath o Ros Nhim o Moul Un; ministro delle forze armate Ek Choen conosciuto come il terribile Ta Mok, ma conosciuto anche come Ta 15 o Chhit Choen; ministro della difesa Son Sen detto Khieu , B o 89; Presidente del presidio di Stato della Kampuchea Democratica Khieu Samphân o Herm. Un gradino più in basso veniva il comandante militare della zona nord ovest Keu, il ministro dell'azione sociale e dell'educazione la moglie di Ieng Sary, Khieu Thirith detta anche Phea o Hong; il ministro della cultura e dell'informazione Yun Yat, la moglie di Son Sen; il segretario della zona centrale Ke Vin o Ke Pauk; ministro del commercio Sua Vasi o Doeun, segretario del comitato permanente Phouk Chhay o Nang o Touc; segretario del PCK del nord Men San, alias Ney Sarann, Ya, Achar Sieng; ministro delle piantagioni di gomma Ek Sophon altrimenti detto Phuong o Veung Chhaem; segretario della zona est Seng Hong o Chan, della zona nord Kang Chap o Sae, della zona ovest Chou Chet o Thang Sy.[32]
Poi vi erano tre gruppi di comando militare: il centro A composto da Pol Pot, Son Sen, Ta Mok, Ke Pauk e Siet Chhe; il gruppo B da So Phim, Seng Houng, Kev Sammang, Ly Phen, Heng Samrin e Pol Sarouen; il gruppo C da Chen Sot, Ouch Bun Chhoeun, Kun Deth, Sok Sat, Chum Horì, Chum Sei e Hun Sen[33]
Di pari passo con la politica interna, procedevano anche le strategie delle alleanze con gli altri Stati, importante sia per la difesa del territorio, sia per ottenere aiuti per attuare il piano di sviluppo economico.
6.5 La politica estera dei Khmer rossi Alla fine di aprile, una volta ultimata la prima fase dell’evacuazione delle città, Pol Pot decise che la Commissione permanente dei Khmer rossi, composta oltre che dal leader anche da Nuon Chea e da Ieng Sary, dovesse recarsi in visita a Hanoi, proponendo un trattato di amicizia e di non aggressione, per far riconoscere ai vicino i confini tra i due Stati entro la Ligne Brévié, dal nome del governatore francese dell’Indocina Jules Brévié, che stabiliva il confine marittimo tra la Cambogia e il Vietnam al quale viene di diritto assoggettata l'isola di Phu Quoc[34]. Il Vietnam, piuttosto che accettare la Ligne Brévié, preferì trattare un accordo per i confini. Pol Pot rispose che senza quest’accordo la Cambogia si preservava la possibilità di conquistare terre anche oltre il confine proposto.
La vera intenzione del leader Khmer rosso era quella di mantenere le buone relazioni fino al momento in cui non si fosse armato a sufficienza per attaccare Hanoi.
Poco prima di entrare a Phnom Penh, con la conquista di Takeo, l’esercito rosso requisì un grosso quantitativo di armi, razzi, mitragliatrici cinesi, AK-47[35]E munizioni. Questo dette coraggio alle truppe cambogiane, che il 4 maggio decisero di occupare l’isola di Phu Quoc, vicino alle coste sud-orientali del paese di Kampot, e il 10 maggio si spostarono anche nella piccola Isola di Wai. Due giorni dopo accadde l’incidente del Mayaguez.[36]
6.5.1 Il caso Mayaguez Il 12 maggio forze del PCK fermarono la nave cantiere battente bandiera statunitense Mayaguez, per dei controlli nel golfo del Siam. Gli americani dopo tre giorni decisero di vendicarsi del dirottamento ma secondo Ralph Wetterhann queste azioni ebbero degli sviluppi poco chiari: innanzitutto i marines occuparono un’isola, Koh Tang, dove l’equipaggio non mai tenuto in ostaggio, giacché era a Rong Sam Lem; i cambogiani avevano già deciso di liberare l’equipaggio nonostante che in terra Khmer i bombardamenti fossero ancora in corso e la cosa forse che si rivelò più assurda fu che, per andare a salvare quaranta uomini, che formalmente erano già liberi, ne morirono sessantaquattro tra incidenti e scontri, e nella concitazione tre marinai furono dimenticati, per poi essere fucilati dai Khmer rossi.
Questo evento è storicamente fatto coincidere con l’ultimo scontro armato della guerra del Vietnam. [37]
6.5.2 Il riavvicinamento con il Vietnam Il 2 giugno durante la visita a Phnom Penh del leader comunista Nguyễn Văn Linh, tra i due Stati tornò la calma e il leader cambogiano affermò che gli scontri verificatesi non erano frutto di direttive politiche centrali ma dovuti alla “ignoranza politica delle truppe locali”[38]
Il problema però non si risolse così facilmente: il Vietnam aveva perso il controllo delle isole Paracell a vantaggio della Cina e non voleva perdere altro terreno nel golfo del Siam, e tantomeno era disponibile ad accettare che un alleato, per la cui causa aveva perso venticinquemila uomini, si trasformasse in un invasore. Per questo motivo il 10 giugno i vietnamiti attaccarono le forze Khmer nell’isola di Wai, facendo seicento ostaggi tra l’esercito di Pol Pot[39].
Il leader Khmer, una volta guarito dall’attacco di malaria che lo colpì qualche mese prima, guidò la commissione permanente a Hanoi per firmare il Trattato di amicizia e, dopo la visita di Le Duan, Nguyễn Văn Linh informò Nuon Chea che i vietnamiti avrebbero sgombrato Wai e rilasciato gli ostaggi.
Questo trattato fu solo il tentativo di Pol Pot di prendere ulteriormente tempo, come ammisero sia il ministro degli esteri vietnamita Nguyễn Cơ Thạch[40], sia Khieu Samphân in un’intervista.[41]
6.5.3 I rapporti con la Cina Terminati i colloqui di Hanoi, Pol Pot Ieng Saty Ney Saram e Siet Chhên si recarono, il 21 giugno segretamente a Pechino per incontrare Mao Tze-tung, ormai debilitato dal morbo di Parkinson e dal cancro alla prostata,[42]ma con la mente ancora lucida. Disse alla delegazione Khmer rossa: “Fate una correzione”, cercando di far capire che la rivoluzione andava concepita e realizzata all’interno del contesto mondiale, ma a Pol Pot il messaggio che arrivò fu un altro: non doveva copiare alla lettera l’esperienza rivoluzionaria cinese, ma creare la propria rivoluzione.
Anche se il Grande Maestro nutriva qualche dubbio sul progetto polpottiano, avendone capito la limitatezza culturale e filosofica dei Khmer rossi, restò affascinato dal fatto che riuscirono a svuotare le città, e anche se si rese conto che questa rivoluzione alla fine si sarebbe rivelata un’utopia, tra aiuti militare, economici e alimentari, sborsò alla Cambogia quasi un miliardo e mezzo di dollari. In realtà a Mao Tze-tung l’amicizia dei cambogiani serviva per tenere sotto controllo le mire espansioniste sovietiche nell’Indocina. Dopo la rottura dell’amicizia con il Vietnam per la questione delle Paracell, cominciò a considerarlo uno stato satellite di Mosca, pronto a farvi confluire anche il Laos, così che Pol Pot era l’unica ancora di salvezza contro il progetto sovietico.[43]
6.5.4 La visita a Kim Il Sung Da Pechino i Khmer rossi si spostarono a Pyongyang, per un’altra missione segreta. Nella capitale nordcoreana incontrarono il Presidente della Repubblica Kim Il Sung. Dopo il loro incontro nella città portuale nella Cambogia meridionale affacciata nel golfo del Siam di Kampong Som[44], arrivarono delle navi cargo nordcoreane con tessuti, medicinali, mezzi agricoli e generatori idroelettrici per la costruzione di dighe e generi alimentari. Furono questi i primi aiuti non cinesi che i Khmer rossi ricevettero. Oltre al materiale il caro leader inviò anche piloti da addestramento e personale per far funzionare le pompe. Come contropartita i nordcoreani inviarono una delegazione artistica che girò uno spot propagandistico a favore di Kim Il Sung.[45]
6.5.5 L’arrivo a Poipet e la chiusura delle frontiere Poipet, città di cinquantamila abitanti al confine con la Thailandia, fu liberata da un plotone del PCK composto per lo più da giovani donne, che dichiarandosi soldatesse di Sihanouk del movimento di liberazione nazionale, chiusero la frontiera con la promessa, vana, di riaprirla entro dieci giorni.
All’indomani della liberazione regnava la confusione: il commercio di riso con la Thailandia continuava, nonostante i cittadini di Poipet di origine thailandesi venivano fatti andare oltre confine, ad Aranyapratet.
La questione era puramente ideologica: dal governo thai arrivavano indirettamente gli aiuti di Mosca, e per questo motivo, dopo una visita ufficiale di Ieng Sary nella capitale thailandese, si decise di interrompere il commercio con Bangkok.
Dalla chiusura della frontiera a nord del paese la Cambogia s’isola dal mondo, lasciando aperti i cordoni commerciali solo con l’Albania, Cina, Corea del Nord e Romania.
Ancora una volta si dimostrò la limitatezza organizzativa e l’ideologia statica di Pol Pot, volta a considerare la sua utopia di non volere l’ingerenza straniera nello sviluppo della Kampuchea.[46]
6.6 Le decisioni economiche: la soppressione della moneta e dei mercati In un momento di tensione tra le zone di controllo est e sud-ovest della capitale durante l’evacuazione fu fatta saltare la Banca Centrale e si tentò di camuffare il fatto come l’opera di banditi in fuga.
L’esplosione della Banca quindi non fu scelto come simbolo della distruzione del denaro, come parecchi studi storici tendono a confermare, giacché vi era, nelle intenzioni dei Khmer rossi, la volontà di emettere una propria valuta e istituire un sistema bancario[47]. Una prova dell’esistenza della moneta dei Khmer rossi viene dalla testimonianza della sopravvissuta Thida Mam:
A Prek Po[…] vedemmo per la prima volta la banconota dei Khmer rossi,[…], dai colori vivaci in cui vi erano raffigurati dei soldati o dei contadini intenti alla raccolta del riso o altre scene raffigurante la vita lavorativa all’aperto.[48]
Infatti, la nuova banconota era pronta a essere immessa in circolazione ad agosto quando Presidente della Banca Centrale fu nominato Pich Chheang al posto di Non Suon, il quale aveva il compito di addestrare una sessantina di contadini, ai quali far gestire le filiali della banca.
Tuttavia, i più importanti leader Khmer rossi, tra cui Ta Mok, l’idea non piacque. L’ex monaco vedeva bene l’instaurazione di un sistema di baratti, sostenendo che se ci fosse stato il denaro ci sarebbero verificati episodi di corruzione. Lo stesso Pol Pot, d’accordo con Ta Mok, fece notare che senza il denaro sarebbe progressivamente sparita la proprietà privata e che il collettivismo ne avrebbe giovato.
La decisione di non emettere la nuova moneta fu ufficializzata il 19 settembre.
Con la scomparsa della moneta, sparirono anche i mercati, in quanto il commercio si sarebbe risolto nel baratto tra le varie regioni. Il Comitato centrale decise che la produzione del riso doveva essere di tre tonnellate di riso annue per ettaro per essere autosufficienti: una parte doveva essere destinata alla sussistenza dei contadini, un’altra parte andava allo stato, che fino alla messa in atto delle cooperative avrebbe provveduto a scuole, ospedali.
Quando Pol Pot si accorse che i cittadini deportati da Phnom Penh verso il sud ovest, stremati dalla mancanza di viveri e di medicinali erano improduttivi, non fecero pervenire loro i beni di cui necessitava, ma decise per una redistribuzione della forza lavoro, dando vita ad una nuova evacuazione.[49]
6.7 La questione degli intellettuali Durante i mesi convulsi, in cui la Cambogia si stava lasciando dietro le spalle cinque anni di guerra civile e la deposizione di una dittatura, la speranza di una vera ripresa con i Khmer rossi fece decidere a molti intellettuali il ritorno in patria.
Il Kena Mocchhim li fece rimpatriare a partire da settembre, per non lasciarli fuori dai confini per troppo tempo, decidendo che i nuovi arrivati dovevano lavorare ancora di più nei campi, dovevano essere formati ed educati alla nuova società”
Tra quelli che fecero ritorno a Phnom Penh c’era una donna francese, la sola occidentale che dopo l’esilio forzato a Pechino, arrivò in Cambogia. Era Laurence Picq, moglie di Suong Sikouen, uno degli studenti più radicali durante gli anni cinquanta, che trovatasi dinanzi a una città deserta, scrisse in un dattiloscritto:
“Quel silenzio. Un silenzio terribile, carico del dolore di una popolazione che era stata lacerata, delle grida di disperazione dell’angoscia di una sofferenza smisurata”[50]
Tutti quelli che non erano contadini, furono considerati intellettuali, dal medico al militare, bastava avere un minimo di cultura perché questa andava contro il volere di Ângkar.
Si doveva solo lavorare e produrre e non avere bisogno di nessuno, solo di Ângkar.
Fu in questo contesto che si scontrano le due teorie più importanti sulla nascita del regime dei Khmer rossi.
Michael Vickery nel libro “Cambodia 1975-1982”, interpretò la nuova società come figlia di una rivoluzione contadina totale, dove i rivoluzionari vincitori fecero quello che i poveri contadini avrebbero sempre voluto fare ai loro nemici borghesi delle città, la violenza del regime del Kampuchea non era frutto della malvagità partorita dalla mente di Pol Pot o di Khieu Samphân, ma della prevalenza del movimento contadino sul consumismo. La Kampuchea Democratica non era un regime stalinista o comunista, ma appunto un regime figlio del movimento contadino, quello che non fu prevedibile fu il corso degli eventi e l’escalation così drammatica di morti e di sconvolgimenti sociali[51], mentre nella sua interpretazione Kate Frieson contestò allo storico francese l’idea che i Khmer rossi avessero il supporto di una larga parte dei contadini. In base alle testimonianze da lei stessa raccolte tra i superstiti, questi si ritrovarono attori inconsapevoli in cui i loro capi non avevano un volto, non erano chiari gli obiettivi, subivano passivamente Ângkar. I contadini non dichiararono mai la loro adesione al movimento ma furono costretti a farlo per sopravvivere al regime che si venne a creare sotto Lon Nol. Frieson in modo molto amaro riassunse le strategie di sopravvivenza usate dai lavoratori nei campi di riso: “scavare, piegare la schiena e maledire la sorte in silenzio”[52]
6.8 Il folle progetto: “cambiare mentalità” Per Khieu Samphân una rivoluzione comunista si fa distruggendo la proprietà privata. Proprietà privata che non è solo la proprietà materiale, che si distrusse facilmente con lo sgombero della città, delle case e con la privazione degli ma trova la sua ragion d’essere nella “proprietà spirituale”, che è tutto ciò che è personale. Durante un seminario diretto dal leader Khmer rosso ai rimpatriati, spiegò molto bene la sua teoria:
Tutto quanto definisci mio […] è proprietà privata spirituale. Pensare in termini di “me” e “di mio” è proibito. Se dici “mia moglie” sbagli. Dovresti dire “la nostra famiglia.” La nazione cambiogiana è la nostra famiglia. Ecco perché siete separati: uomini con uomini, donne con le donne, i bambini con i bambini. […] Noi siamo i figli di Ângkar, l’uomo di Ângkar, la donna di Ângkar[…] Per diventare i veri rivoluzionari dovete lavarvi il cervello finchè sarà pulito[53]
La vera rivoluzione per Khieu Samphân avrà successo solo quando la proprietà privata sarà estirpata dalla mentalità del vecchio cambogiano, che per natura è attratto dagli eccessi. Per il ministro della difesa“Zero per te, zero per me, quello è il comunismo” [54]
Si voleva ottenere la distruzione della persona, vista come il guscio aggressivo che rappresenta la quintessenza del controrivoluzionario attraverso l’eliminazione della famiglia e dell’indottrinamento e dal logorio fisico dettato dalla fame, dalla stanchezza e dall’isolamento.
[1] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia: The Khmer Rouge, the U.N., and the International Community, New Haven , Ben Kiernan Editor 1999, p. 355.
[2] Traduzione: assistemmo ad incredibili scene di solidarietà tra i soldati nei campi, comunisti e non. Nel tripudio generale, al quale si mescolarono i civili, si acclamò il ritorno della pace, dall'articolo La mise à mort de la République Khmère da Le Figaro del 17 aprile 1975 <http://khmericide.eu/la-mise-a-mort-de-la-republique-khmere#sdfootnote6anc>, ultima visione: 21 settembre 2012.
[3] P.Short. Pol Pot, cit., p .358.
[4] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia, cit., p. 355.
[5] Ivi, p. 356.
[6] P. Short, Pol Pot, cit., p. 356.
[7] R.Gutman e D.Rieff (a cura di), Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere, Roma, Contrasto Internazionale 1999, p. 68.
[8] P.Short. Pol Pot, cit., p. 358.
[9] F.Ponchaud, Cambodia Year zero, Toronto, Rinehart and Winston 1978, p. 21.
[10] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia, cit., p. 55.
[11] F.Rampini, All'ombra di Mao, Milano, Mondadori, 2007, p. 271.
[12] P. Short, Pol Pot, cit., p. 360.
[13] R.Gutman, D.Rieff (a cura di), Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere, cit., p. 61.
[14] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia, cit., pp. 45-51.
[15] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge, 1975-1979: Race, idéologie, et pouvoir, Paris, Gallimard 1998, p. 59.
[16] Ivi, p. 60.
[17] P.Short. Pol Pot, cit., p. 367.
[18] Dall'intervista a Pin Yathay, pubblicato in un quotidiano cambogiano da National Review <http://www.nationalreview.com/nroriginals/?q=ZDEwNjk2MTBiYzc5MmM0MTUwNTA0OTJhZjExOWMzZTY=more> , ultima visione: 6 settemre 2012.
[19] T.Terzani, Fantasmi Dispacci dalla Cambogia, Milano, Longanesi 2008, pp. 119-123.
[20] P. Short, Pol Pot, cit., p. 368.
[21] F.Bizot, Il Cancello, Milano, Ponte Alle Grazie 2001, p. 213.
[22] F.Bizot, Il Cancello, cit , p. 220.
[23] P. Short, Pol Pot, cit., pp. 382-385.
[24] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 72
[25] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 62.
[26] P.Short. Pol Pot, cit., pp. 387-392.
[27] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge, 1975-1979: Race, idéologie, et pouvoir, Paris, Gallimard 1998, p. 37.
[28]A.L. Hinton, Why did they Kill? Cambodia in the shadow of Genocide Los Angeles CA, University California Press 2004, pp. 127-128.
[29] W.G. Burchett, The China-Cambodia-Vietnam triangle, Hillsboro WV, Vanguard Books 1981, p. 95.
[30] O.T. Hoeng, Ho creduto nei Khmer rossi. Ripensamento di un'illusione, Milano, Edizioni Angelo Guerini e Associati 2004, pp. 55-56.
[31] P. F. Idling, Il sorriso di Pol Pot, Stoccolma, Atlas 2006, p. 167.
[32] B. Kiernan, Genocide and Democracy in Cambodia: The Khmer Rouge, the U.N., and the International Community, New Haven , Ben Kiernan Editor 1999, p. 14.
[33]Ivi, p. 15.
[34] Senato Francese, <http://www.senat.fr/ga/ga75/ga751.html>, ultima visione: 20 settembre 2012.
[35] Avtomat Kalašnikova obrazca 1947, <http://kalashnikov.guns.ru/>, ultima visione: 20 settembre 2012.
[36] P. Short, Pol Pot, cit., pp. 392.
[37] R.Wetterhahn, The Last Battle: The Mayaguez Incident and the End of the Vietnam War, New York , First Carroll & Graft Edition 2001, pp. 212-216.
[38] P.Short. Pol Pot, cit., p. 393.
[39] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., pp. 125-126.
[40] Vero nome era Pham Van Cuong.
[41] P.Short, Pol Pot, cit., p. 395.
[42] P.Corradini, Cina Popoli e Società in 5 milioni di Storia, Firenze, Giunti Editore 2005, p. 489.
[43] P.Short, Pol Pot, cit., pp. 397-401.
[44] Meglio conosciuta come Sihanoukville.
[45] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 155.
[46] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 163-171.
[47] P. Short, Pol Pot, cit., p. 367.
[48] B. Kiernan, Le Génocide au Cambodge 1975-1979, cit., p. 60.
[49] P.Short. Pol Pot, cit., pp. 405-409.
[50] Ivi, p. 411.
[51]M.Vickery, Cambodia: 1975-1982, Seattle, University of Washington Press 2000, pp. 66-70.
[52]K. Frieson, Revolution and Rural Response in Cambodia: 1970-1975 in Genocide and Democracy in Cambodia
[53] P.Short. Pol Pot, cit., p. 418.
[54] Ivi, 418-420.